IL PRETORE A scioglimento della riserva, O S S E R V A Con ricorso depositato il 27 settembre 1993 l'architetto Ferdinando Bernacca esponeva: che aveva prestato servizio quale insegnante di materie tecniche a far data dall'anno scolastico 1957-58 fino al suo collocamento a riposo, avvenuto nel 1988; che durante il servizio aveva altresi', occasionalmente, svolto l'attivita' di architetto e che anche dopo il pensionamento aveva continuato, sempre occasionalmente, ad esercitare opera libero-professionale; che con provvedimento di cui alla nota del 4 settembre 1992, in relazione all'attivita' svolta successivamente alla quiescenza, era stato iscritto, d'ufficio, alla Cassa degli ingegneri ed architetti e contestualmente cancellato a seguito della cessazione della partita IVA e che nella nota stessa gli era stato richiesto il pagamento, a titolo di contributi oggettivi e soggettivi, per gli anni 1988/1990, della complessiva somma di L. 6.757.144, da versare in due rate; che per un mero disguido insorto con la propria banca, era stata corrisposta la prima delle rate in scadenza e che, di seguito, aveva inutilmente proposto reclamo avverso le determinazioni della Cassa e richiesto la restituzione di quanto corrisposto. Cio' esposto, osservato che essendo titolare di pensione, ai sensi dell'art. 6 della legge 11 ottobre 1990, n. 290, non poteva maturare altra pensione presso la Cassa, che in quanto pensionato statale non poteva neppure effettuare la ricongiunzione dei contributi versati alla Cassa per ottenere un supplemento di pensione ed inoltre che, ai sensi dell'art. 15 della legge cit. gli era precluso il rimborso dei contributi prima del compimento del sessantacinquesimo anno di eta' e che, pertanto, avrebbe dovuto attendere l'anno 2002 per avere la restituzione di quanto versato, chiedeva che il pretore adito volesse, in relazione alla richiesta di declaratoria di sospensione dei provvedimenti della Cassa e di restituzione delle somme versate, eventualmente rimettere gli atti alla Corte costituzionale per decidere della legittimita' costituzionale degli artt. 21, quinto comma, della legge 3 gennaio 1986, n. 6, che stabiliva l'obbligatorieta' della iscrizione alla Cassa, art. 15, primo comma, della legge n. 290/1990, in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione. Nel costituirsi la Cassa eccepiva la carenza di prova relativamente alle circostanze dedotte in fatto, la irrilevanza della questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 15 della legge n. 290/1990 ed inoltre osservava che in merito alla legittimita' costituzionale dell'art. 21 cit., la Corte si era gia' espressa, con sentenza n. 430/1993. Eccepiva infine la improcedibilita' del ricorso per non avere il Bernacca proposto il reclamo avverso la decisione della giunta esecutiva della Cassa. Nel corso della prima udienza il ricorrente dichiarava di rinunciare alla domanda relativa alla declaratoria di nullita' della iscrizione alla Cassa e di insistere nella richiesta di restituzione dei contributi versati; depositava, inoltre le quietanze relative ai versamenti dei contributi richiesti dalla convenuta. Ad avviso del decidente, in merito alla domanda di restituzione dei contributi proposta dal ricorrente, appare rilevante e non manifestamente infondata, la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 15 della legge n. 290/1990 in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione. Ed infatti, sino dalla sentenza n. 430/1993, la Corte costituzionale ha evidenziato che a seguito della riforma del 1981, il nuovo sistema previdenziale degli architetti e degli ingegneri e' improntato ad un principio solidaristico che, temperando le esigenze del singolo a favore della collettivita' di gruppo "impone a tutti coloro che esercitano continuativamente la libera professione (non cumulata con una diversa attivita' di lavoro comportante l'iscrizione ad altra forma di previdenza obbligatoria) il dovere di contribuire all'onere finanziario della previdenza di categoria in proporzione al reddito professionale, senza riguardo alle condizioni individuali di concreta possibilita' di maturazione del diritto alle prestazioni della Cassa", ed inoltre che "e' rimessa alla discrezionalita' del legislatore la misura del contemperamento di questo principio con l'interesse dei singoli mediante il riconoscimento, a certe condizioni, del diritto al rimborso dei contributi in caso di cessazione dalla iscrizione alla Cassa (in seguito a cancellazione dall'albo) senza avere maturato i requisiti del diritto alla pensione. Il ius superveniens portato dal nuovo testo dell'art. 20 della legge del 1981, introdotto dall'art. 15 della legge n. 290 del 1990, non ha fatto venir meno questo momento conciliativo tra i due ordini di esigenze, ma lo ha definito in termini piu' restrittivi secondo criteri che non possono dirsi irrazionali". Tali valutazioni sono state espresse dalla Corte sempre con riguardo ad iscritti alla Cassa che avevano gia' maturato un trattamento di quiescenza quali ex dipendenti dello Stato, anche in considerazione del fatto che si riteneva destinata a cadere la discriminazione di cui all'art. 6 della legge n. 290/1990, che non permette la liquidazione di supplementi di pensione in favore dei predetti, a seguito della creazione dell'istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica. Senonche' deve osservarsi che detta discriminazione, di fatto, continua a sussistere poiche' nonostante con la legge 1 agosto 1994 n. 479 sia stato creato l'INPDAP, la individuazione di una autonoma gestione per i trattamenti pensionistici dei dipendenti statali, e' stata demandata a successivi provvedimenti di legge (art. 4, quarto e quinto comma), pertanto, al momento, non risulta attuale il diritto dei predetti ex pensionati, e tra questi il ricorrente, ad ottenere la ricongiunzione contributiva ed il conseguente supplemento di pensione. Anche in relazione alla circostanza su richiamata si appalesa, irrazionale ed in contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione il disposto dell'art. 15, primo comma, della legge n. 290/1990 in base al quale la restituzione dei contributi, che non danno titolo a pensione, puo' essere ottenuta dagli ex iscritti alla Cassa solo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta': da un lato, infatti, il Bernacca non puo' beneficiare di alcun supplemento di pensione, da altro lato il ricorrente, essendo nato nel 1937, dovrebbe attendere l'anno 2002 per ottenere la restituzione dei contributi versati per il periodo 1988/1990. Pare pertanto evidente che la conciliazione tra le opposte esigenze di cui alla sentenza n. 430/1993, nel caso in esame si risolve in un eccessivo ed ingiustificato sacrificio di quelle del Bernacca, non potendosi certamente definire ragionevole una previsione come quelle in esame che subordina la restituzione dei contributi al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' senza tenere in alcuna considerazione la data di cessazione dalla iscrizione alla Cassa e cio' nel mentre in altri ordinamenti previdenziali la restituzione dei contributi e' contestuale alla cancellazione dall'ente di previdenza (vedi per gli avvocati e procuratori l'art. 21 della legge n. 576/1980; per i dottori commercialisti l'art. 21 della legge n. 21/1986 e per i consulenti del lavoro art. 23 della legge n. 1100/1971). La non ragionevolezza della previsione in questione, emerge ulteriormente ove si consideri che il secondo comma dell'art. 15 della legge n. 290/1990 consente la immediata restituzione dei contributi in favore dei superstiti dell'iscritto non aventi diritto a trattamento pensionistico indiretto: in sostanza a fronte di analoghe situazioni e cioe' della impossibilita' per la Cassa di erogare un trattamento pensionistico per morte o definitiva cancellazione dell'iscritto che non ha maturato il diritto a pensione, la restituzione dei contributi in quest'ultimo caso puo' essere differita, anche di decenni, senza apprezzabile giustificazione. Sulla base di queste considerazioni la questione di legittimita' costituzionale del citato art. 15, primo comma, della legge n. 290/1990 non appare manifestamente infondata; essa e', poi, rilevante dovendosi fare applicazione della norma nel giudizio in corso e, pertanto si impone la rimessione di essa alla Corte costituzionale.